ATTACCHI DI PANICO? TU SEI BRAVO.
- Lorenzo Poggi

- 21 mag 2018
- Tempo di lettura: 4 min
Vorrei tanto scrivere un post sulla depressione o sugli attacchi di panico, su cosa sono e su come se ne guarisce, così poi mi cercherebbero tutti, convinti che io abbia la Cura e diventerei ricco.
E infatti eccolo qua il post, ma un po’ diverso, un po’ autobiografico.. e comunque non credo che diventerò ricco.
Sto leggendo un libro sull'importanza di essere onesti. Sì perché ho fatto una rinuncia importante per una questione di onestà e mi stavo chiedendo se sono scemo: ho rinunciato a diventare membro di un’autorevole società del mio settore che mi avrebbe dato prestigio e visibilità.
Ho investito tanto per entrarci, in termini di tempo, energie, denaro e ho anche affrontato severe selezioni, solo che, una volta entrato ho visto cose un po’ sospette.
Per esempio che per starci dentro bisognava convincere i propri pazienti che con quattro sedute alla settimana per un tempo indefinito sarebbero stati meglio.
Aspettate, non voglio passare dalla parte del torto, voglio essere onesto, loro ci credevano che i pazienti sarebbero stati meglio e si trattava soltanto di imparare a lavorare in questo modo.
Ma sulla base di cosa mi sono chiesto? È vent’anni che studio psicologia e non c’è una sola ricerca che dimostri una cosa del genere. Risposta: la scienza di oggi è superficiale, è aziendale e mira al risultato, magari parziale, ma rapido e misurabile e noi ci occupiamo di cose profonde che capisce solo chi vuol capire.
In parte può essere vero, ma mi sembra un po’ eccessivo e pericoloso: chi controlla se stiamo facendo bene? Come faccio a garantire ai pazienti il loro stare meglio?
No grazie, non mi sembra onesto.
Solo che non l’ho capito subito. Sono entrato carico ed entusiasta. Ma, mi sono venuti gli attacchi di panico. Ogni volta che andavo ai training e che dovevo presentarmi. Sono brutti gli attacchi di panico. Ma me li sono tenuti per un anno e mezzo come fanno tutti quelli che hanno gli attacchi di panico. Fingendo sicurezza mentre ero nel panico, temendo sempre che potessero ripresentarsi da un momento all’altro, che gli altri se ne potessero accorgere, pensando che forse un farmaco mi avrebbe aiutato, però un farmaco…
Poi ho capito.
Qualcosa dentro di me si opponeva a quella situazione.
L’impulso a fuggire, a scappare, è una caratteristica tipica dell’attacco di panico.
Volevo scappare da quella situazione.
E così sono scappato, me ne sono andato. Niente più attacchi di panico.
Grazie, direte voi, così è facile. No, non è per niente facile. Ci ho messo un anno e mezzo a capire che quella situazione non faceva per me. Sono stato male. E poi ho scelto una via non facile. E infatti mi leggo un libro sull’onestà perché devo ancora digerire la cosa.
Eccola quindi “la mia cura” degli attacchi di panico: cercare di capire cosa c’è che non va nella propria vita e provare a cambiarlo. Pensare, pensare tanto e cambiare, anche un po’ alla volta, non sempre è necessario scappare a gambe levate; da soli o con qualcuno che ci dà una mano.
Nel caso questo sia un professionista, una, due, tre, quattro volte alla settimana, dipende solo dal tempo e dalle risorse che il paziente vuole o può investire e da quanto egli sente che gli è utile.
Le ricerche dimostrano che la psicoterapia, quando funziona, non lo fa grazie alla tecnica impiegata, ma per il fatto di mettersi in discussione con qualcuno che ascolta.
Le competenze sono importanti ovviamente, ma nel mio settore troppa fiducia nella tecnica in assenza di convalide ha il sapore della suggestione.
“Tu sei bravo” diceva Paul Vitti (il boss di “Terapia e pallottole”) al suo terapeuta.. e lui rispondeva “No, tu sei bravo”.
Allen Frances, lo psichiatra che ha guidato la task force che ha pubblicato la penultima edizione del DSM (il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali.. la bibbia della psichiatria moderna) e molto critico nei confronti dell’ultima (per il preoccupante aumento dell’inflazione diagnostica), scrive nel suo libro “Primo, non curare chi è normale”:
“Il modo migliore di affrontare i problemi della vita quotidiana consiste nel risolverli o nell’aspettare che se ne vadano, non nel medicalizzarli con una diagnosi psichiatrica o curarli con una pillola. Ricorrere immediatamente ai farmaci crea un cortocircuito nei percorsi tradizionali di guarigione naturale, volti a ristabilire l’equilibrio: cercare conforto nella famiglia, negli amici e nella comunità, introdurre cambiamenti di vita necessari, scaricare l’eccesso di stress; dedicarsi ai propri passatempi preferiti, fare esercizio fisico, riposarsi, distrarsi, cambiare ritmo. Superare i problemi in modo personale normalizza la situazione, ci aiuta ad acquisire nuove abilità, e ci fa avvicinare alle persone che ci possono essere d’aiuto. Prendere una pasticca ti etichetta come diverso e malato anche se non lo sei davvero. I farmaci sono essenziali quando necessari a ristabilire l’omeostasi in chi soffre davvero di un disturbo psichiatrico reale. I farmaci interferiscono invece con l’omeostasi per chi soffre solo di problemi quotidiani.”
I
o farei lo stesso discorso per la psicoterapia: quando la tecnica prende il posto di un autentico supporto, bisogna poi inventarsi una malattia da curare.
Lorenzo Poggi




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