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C'ERA UNA VOLTA...

  • Immagine del redattore: Lorenzo Poggi
    Lorenzo Poggi
  • 30 lug 2018
  • Tempo di lettura: 5 min

C’era una volta, in un luogo che nessuno è mai riuscito a scoprire, il regno di Erehwon.

Gli abitanti di Erehwon vivevano tranquilli, la guerra era ormai un ricordo talmente lontano che in realtà nessuno se ne ricordava più e ognuno era libero di pensare alla propria vita, ai propri affari e alla propria famiglia. C’era persino tanto tempo da trascorrere con gli amici se uno lo desiderava.

Per stare ancora meglio il re aveva proibito che si parlasse della morte, era una parola brutta, che faceva diventare tristi inutilmente: che si moriva tutti lo sapevano già e quindi perché parlarne.

Per questa ragione il re aveva anche disposto che le persone vecchie e malate che non potevano più guarire fossero portate in ospizi fuori dalle mura della città in modo che non facessero diventare tristi gli altri cittadini. Qui i malati venivano trattati con le migliori cure e tutte le attenzioni del caso e si poteva anche andarli a trovare, ma il viaggio di ritorno attraversava luoghi talmente belli che una volta rientrati in città la tristezza era ormai dimenticata.

E così, per gli abitanti di Erehwon le giornate trascorrevano felici.

Ma non per Rambaldo.

Rambaldo, uno dei cavalieri del regno, era triste. Non solo, Rambaldo era triste e di notte spesso faceva terribili incubi che lo svegliavano. Sognava mostri che lo inseguivano e dai quali non riusciva a scappare, sognava catastrofi e guerre che distruggevano il suo castello e molte altre disgrazie.

Rambaldo era triste e aveva gli incubi, ma non sapeva perché.

Certo aveva qualche preoccupazione: non era facile amministrare le sue proprietà, a volte non riusciva ad andare d’accordo con la sua sposa, altre trovava faticoso educare i suoi figli, ma si trattava di piccoli problemi, pensava, come quelli di tutti e che non potevano essere all’origine del suo malessere.

Un giorno, stanco di non stare bene, consultò un famoso stregone.

Iribizor, così si chiamava lo stregone, gli disse che sapeva come risolvere il suo problema e gettò una manciata di erbe e altre sostanze misteriose a bollire in un pentolone.

Si levarono allora strane volute di fumo che, con grande meraviglia di Rambaldo, presero la forma dei suoi incubi.

La scienza di Iribizor consisteva infatti nel dare forma agli spiriti malvagi che si divertivano a disturbare le tranquille vite di chi lo consultava e nel convincerli ad andarsene a dar fastidio a qualcun altro.

Gli spiriti malvagi che avevano preso di mira Rambaldo erano però particolarmente resistenti anche per la magia di Iribizor e così Rambaldo dovette tornare più volte dallo stregone.

Col tempo comunque, grazie agli incantesimi di Iribizor gli incubi passarono, ma la tristezza invece no e così un giorno Rambaldo si permise di chiedere a Iribizor quanto tempo ci sarebbe voluto per guarire definitivamente. Iribizor a quella domanda andò su tutte le furie e continuando a ripetere “Iribizor, Iribizor…” si dissolse nel pentolone.

Improvvisamente a Rambaldo venne in mente che, nella lingua delle montagne, il nome “Iribizor” significava anche “illusione” e così uscì dalla grotta dello stregone rassegnato e si mise sulla strada di casa pensando che nessuno sarebbe mai riuscito a risolvere il suo problema.

In prossimità di un ruscello, mentre si rinfrescava dalla fatica del viaggio, Rambaldo notò nell’acqua l’immagine riflessa di un vecchio accanto a sé giunto lì per abbeverarsi sua volta.

“Che vi è successo valoroso cavaliere? Perché avete un’aria così triste?” domandò il vecchio quando Rambaldo si girò verso di lui, con la lentezza di chi ha sulle spalle molti anni.

Così Rambaldo gli raccontò tutta la sua storia per filo e per segno e il vecchio, dopo essersi immerso in un lungo silenzio in cui ripensò a tutte le parole del cavaliere gli disse: “Valoroso cavaliere, come potete essere voi felice se non avete mai incontrato la Morte?”. Nell’udire quella parole Rambaldo si sentì paralizzato e balbettando gli rispose: “Gentilissimo vecchio, non vi capisco, ma soprattutto non posso indugiare oltre nella nostra conversazione, la Legge mi impedisce di pronunciare quella parola.”, quindi slegò velocemente il cavallo e fece per riprendere il ritorno.

Il vecchio insistette: “Cavaliere, siete un uomo leale e questo vi fa onore, ma se riprenderete il vostro cammino nulla sarà diverso da come lo avete lasciato, se invece mi seguirete avrete ciò che state cercando.”.

Rambaldo allora si fermò, ci pensò su e poi, con la rassegnazione in volto, gli fece cenno di avviarsi che lo avrebbe seguito, non tanto perché credeva che il vecchio avrebbe risolto davvero il suo problema, ma piuttosto perché, almeno in quello il vecchio aveva ragione, l’alternativa era dover convivere con la tristezza nel cuore per il resto dei suoi giorni.

Il vecchio si addentrò quindi nella foresta e dopo qualche ora di cammino si fermò in una radura e si sedette accanto ad un grosso sasso con il respiro spezzato dalla stanchezza.

“Da qui, caro cavaliere, dovete proseguire il cammino da solo, non posso andare oltre, sono vecchio e le mie forze mi abbandonano, ho vissuto una vita lunga, ho conosciuto gioia e dolore, ma questo è niente rispetto al fatto di aver provato, in questa lunga vita, a fare qualcosa e forse qualche volta l’ho fatto, spero anche ora…”. Così disse il vecchio e in quel momento spirò.

Rambaldo era ancora sbigottito quando dal buio della foresta uscì la Morte.

“Cavaliere di Erewhon, cosa ci fate voi qui, non mi aspettavo di incontrare nessuno a parte il vecchio” disse la Morte.

Con la voce spezzata dal terrore Rambaldo rispose: “Il vecchio mi ha condotto in questo posto, diceva che avrei dovuto incontrarvi.”.

“… e per quale ragione riteneva che dovessimo incontrarci?” chiese la Morte.

“Sto cercando una cura per la mia tristezza e diceva che voi avreste potuto aiutarmi.” continuava a rispondere alla Morte Rambaldo con le gambe tremanti.

“Vecchio saggio quest’uomo che ora è morto, ma che ha già trovato la strada per il cielo, questo cielo blu sopra di noi, me e voi, adesso…”.

La Morte restò per un istante in silenzio alzando leggermente il buio del suo volto incappucciato come a voler salutare il vecchio.

“… ma torniamo a voi che cercate la cura per la vostra tristezza…” riprese poco dopo la Morte “Eccola la vostra cura: la vita come vedete finisce, mio caro cavaliere, ed è solo con la chiarezza di questo fatto che la vita appunto diventa un’occasione per farne qualcosa, che le giornate passate diventano storia e quelle a venire destino, che gli spiriti malvagi scompaiono e diventano battaglie nel nome della propria impresa, che il proprio nome diventa il nome di qualcuno… altrimenti è solo un susseguirsi di incombenze o di desideri da soddisfare solo per lasciare il posto ad altri desideri… e questo è triste, molto triste… come voi mio caro cavaliere… un incubo direi, perché in fondo al cuore, anche se non ci pensano, tutti sanno che prima o poi incontreranno me… e credo debba fare veramente paura sapere di aver sprecato l’unica occasione che vi è stata data… un po’ come essere inseguiti da un mostro…”.

Rambaldo si era seduto sul grosso sasso, spossato da quelle parole, le gambe pesanti e fragili allo stesso tempo, accanto al corpo del vecchio e con la Morte davanti a sé, in piedi.

Si racconta che Rambaldo sia tornato ad Erehwon e che sia andato a parlare con il re per convincerlo a riportare in città i vecchi e i malati. Nessuno sa se ci è riuscito, quel che è certo è che un giorno ha incontrato per la seconda volta la Morte, così come è certo che anche lui, come il vecchio saggio, ha trovato la strada per il cielo, quel cielo blu sopra di noi, adesso.

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