LA VIOLENZA DEL PAGAMENTO DELLE SEDUTE SALTATE
- Lorenzo Poggi

- 16 gen 2019
- Tempo di lettura: 3 min
Credo che nessuna persona dotata di buon senso possa ritenere irragionevole che un professionista chieda di farsi pagare una seduta saltata senza preavviso o con un messaggio dell’ultimo momento. Per quanto possa essere discutibile (e a mio parere lo è) si tratta comunque di una forma di tutela professionale del proprio tempo, se non altro legittima, che nella mia esperienza i pazienti non fanno alcuna fatica a comprendere ed accettare.
Che dire invece di una seduta saltata con preavviso?
È infatti consuetudine di molti psicologi psicoterapeuti, specialmente di quelli di orientamento psicoanalitico, farsi pagare tutte le sedute saltate, anche quando la futura assenza è comunicata con largo anticipo.
Io stesso sono uno psicoterapeuta di formazione psicoanalitica, ma trovo tale consuetudine una sottile forma di abuso, ingiustificabile, che spesso i pazienti accettano all’inizio della terapia (per poi conviverci comprensibilmente malvolentieri) soltanto perché lo trovano un aspetto secondario rispetto all’urgenza e all’esigenza di avere qualcuno che li ascolti e li aiuti.
A monte della pretesa di pagamento di tutte le sedute saltate, al di là delle giustificazioni teoriche addotte da chi la avanza, si nasconde infatti a mio parere un’idea della natura umana e delle relazioni di aiuto assolutamente discutibile.
L’idea è quella che nel paziente, insieme alla sana e consapevole intenzione di mettersi in discussione, esistano forze inconsce (le famigerate “resistenze”) che si opporrebbero al cambiamento necessario alla soluzione del disagio (magari trovando scuse per non andare alla seduta) e che l’accordo tra il terapeuta e “la parte sana” del paziente sul pagamento delle sedute saltate, serva a contrastare tali forze.
In quest’ottica, le eventuali successive proteste verranno poi interpretate al paziente come espressione della sua “parte resistente”, in ultima analisi infantile e perciò intollerante a quelle frustrazioni che bisogna imparare a sopportare per potersi dire uomini e donne maturi.
Non potrei trovarmi più lontano da questo modo di concepire l’uomo, il bambino e la cura.
I bambini e poi gli adulti, non fanno resistenza al cambiamento, fanno fatica; non sono incapaci di sopportare le frustrazioni, evidentemente non hanno gli strumenti per farlo; non fanno capricci, hanno bisogni.
Nella vita le frustrazioni sono inevitabili e le regole indispensabili, ma i pazienti lo sanno benissimo (a volte meglio di chiunque altro) e non hanno perciò alcun bisogno di essere “rieducati” in tal senso; al contrario hanno bisogno di qualcuno che sappia riconoscere le loro difficoltà e le sordità emotive cui sono stati esposti (più o meno intenzionalmente) e che sappia mostrare loro che le strategie che hanno imparato per gestirle (i sintomi) non solo non sono più adeguate ma compromettono anche la capacità di credere che le cose possano andare diversamente che in passato.
Per fare ciò non serve “la forza”, quanto piuttosto quella comprensione e quella disponibilità che sono state carenti nella storia del paziente e che possono restituirgli la fiducia “nella vita” e nelle altre persone al di là, appunto, delle inevitabili frustrazioni. Per aiutare un paziente bisogna guadagnarsi e meritarsi la sua fiducia.
Rimango convinto che i terapeuti che esercitano questo tipo di forza non abbiano fatto veramente pace con i soprusi cui sono stati sottoposti loro stessi nella propria infanzia e per i quali hanno evidentemente scelto di fare questo lavoro, finendo così per ripeterli sui pazienti. Il compenso della seduta saltata non li ripaga tanto del tempo perso, ma ribalta piuttosto quella antica sensazione di impotenza mai digerita completamente.
Allo stesso modo sarebbe bene che quei pazienti essi stessi convinti della validità di tale esercizio di forza (purtroppo ce ne sono e tra questi tragicamente soprattutto terapeuti in formazione) si rendessero conto che, lungi dal trovarsi in buone mani, hanno solo sostituito una figura genitoriale autoritaria, per quanto accogliente possa essere di facciata, con un’altra.
Lorenzo Poggi





La ringrazio Dottore per questo articolo. Qualche giorno fa ho avuto un brutto scontro con la mia Psicoanalista proprio a causa di questo motivo... Le ho comunicato a fine Maggio che a Luglio sarei andata in ferie e mi sarei assentata dalle sedute... Lei pretendeva che io avessi dovuto prendere le ferie ad Agosto, quando anche lei sarebbe stata in ferie... È stata una seduta devastante, l'ultima perché poi ho deciso di non tornarci più. Ho proprio avuto la sensazione di sentirmi imprigionata, ho avuto paura e sono scappata. Leggere il suo articolo mi ha dato sollievo. La ringrazio.